Ho visto un Re – Apertura norvegese.

Ah beh, sì beh,
benvenuta/o amica/o e/o conoscente e/o generico estraneo, nel mio nuovo mondo di perdizione, tricologica. Un mondo in bianco e nero, dove ognuno sta al suo posto, rivoluzioni non se ne fanno, eppure di casini ne succedono ad ogni passo. Un po’ come nella vita vera, ma con la differenza che giocando a scacchi, perdi il sonno per una cosa inutile, ed è proprio lì che sta il divertimento. Ma prima di iniziare la prima mossa, il bianco sta a me, cara/o, è meglio schiarirsi le idee e trovare la giusta concentrazione, perchè no, andando anch’io in vacanza. Dopo tutto, qualche giorno lontano dal logorìo della vita moderna, mi ci voleva proprio.

Anni fa, quando ancora mi credevo un musicista, ero rimasto coinvolto nell’ennesimo progetto audio-video, destinato come tutti gli altri a naufragare nella pigrizia di qualche partecipante, e avevo conosciuto questo tipo, il regista. Un ragazzotto in gamba del Dams, di quelli che la gente crede intelligenti solo perchè usano parole difficili in abbondanza, ma che almeno con la cinepresa ci sapeva fare. E insomma, si stava amabilmente a disquisire sul ruolo etico della teleologia estetica all’interno delle interazioni urbane postmoderne, in chiave sociopolitica intendo, quando il mio interlocutore se ne esce con un suo cd, un album di musica elettronica, registrato con un amico qualche tempo prima. Un’ora di sofferenza intestina, intestinale quasi, con crepitii, brusii, suoni artificiali di una dissonanza contro natura, prolungati in torture acustiche di dieci minuti l’una. La corazzata Potemkim della musica, musica poi, sì insomma, quella roba là. Concedo un merito al lavoro: le atmosfere evocate ben riflettevano i titoli, non c’è che dire, in pezzi come: “La Grande Meretrice”, “Sarcofago” e “Oslo”.
Oslo.
Non avevo mai notato quanto fosse inquietante il nome di quella città. Prova invece a fare una faccia seria e dire lentamente ad alta voce: Oslo. Non senti come un senso di oppressione esistenziale schiacciarti a terra, annichilire te ed ogni tuo entusiasmo per la vita? O-slo, brrr. Da allora ogni volta che sento quella parola, la mia mente si immagina non una città, ma un enorme, sconfinato stabilimento della Italcementi, in bianco e nero, perchè ad Oslo i colori li hanno aboliti nel ’62, e sfocato.
Ora, mi ero proposto di usare qualche giorno delle mie ferie da uomo solo e abbandonato, per andare a trovare il caro amico Federico, da tempo immemore girovago per i fiordi della Scandinavia, tra Svezia, Finlandia e Norvegia. E dunque, mi sembra inutile doverti venire a dire, dopo anni di peregrinazioni attorno al Baltico, dove sia andato a rifinirsi negli ultimi tempi il nostro Fede. Ma lo sai, dopo una mossa il pezzo non si tocca più, la dura legge della scacchiera, ed eccomi allora a godere dell’amabile accoglienza dell’unica persona al mondo in grado di resistere alle vibrazioni alienanti della capitale norvegese – gli altri abitanti sono in realtà automi tossicodipendenti.
Sarebbe tedioso e privo di utilità, stilare una cronaca del mio soggiorno a 59 gradi di latitudine nord, indispensabile invece è metterti in guardia: se vuoi vedere il buon Fede, meglio aspettare che torni in Italia.

Norwegian facts.
A Oslo un menu del Mac, l’unico indicatore del costo della vita valido per ogni paese del mondo, viene più di dieci euro.
A Oslo lo stato ha il monopolio sulla vendita dell’alcol, che è così caro, anche per gli automi biondi, che se vai ad una festa te lo devi portare da casa. Poi ognuno si beve solo quello che si è portato, e non lo divide con gli altri.

Il centro storico.

A Oslo se vuoi un caffè devi aspettare che il barista abbia voglia di fartelo.
A Oslo hanno pensato di dare lustro alla città riempiendola di edifici in stile rinascimentale e neoclassico, così hanno mandato gli architetti più insigni a studiare in Italia. Per un errore di traduzione ora la città è un catalogo di caserme in stile fascista (vedi figure).
A Oslo sono conservate due copie due – una non bastava – de “L’urlo” di Munch, che, indovina, era di qui. Nel museo a lui dedicato, perle come “Angoscia”, “L’abbandono”, “Il bambino affogato” e “Letto di morte”.

Il municipio

La storia norvegese è così ricca di personaggi illustri che si sono inventati che un certo Ibsen sia stato un grande commediografo. Sulle banconote invece mettono i ritratti degli impiegati comunali.
A Oslo sono così perversi che i ricercatori universitari sono trattati come esseri umani.
A Oslo (vedi figura) le scale sono tutte in salita, ed è consigliabile, nel farle, essere vestiti di rosso.
A Oslo, con la scusa che il sole d’inverno lo vedi per un paio d’ore se ti va bene, sono le undici meno un quarto per gran parte della giornata.
Oslo è gemellata con la città più deprimente d’Italia: Vicenza (vedi figura).

Ecco perchè certi regionali ci mettono una vita

A Oslo se vuoi un abbonamento del tram, devi certificare di aver meditato il suicidio almeno una volta negli ultimi due mesi.
Pur essendomi innamorato tre volte nel giro di due giorni, devo dire che a Oslo le ragazze non sono poi ‘sto granchè. In compenso gli uomini sono così belli che al confronto tu non hai nessuna speranza. Se sei una ragazza e pensi: però, niente male, sappi che a Oslo lo sci di fondo è preferito al sesso.
A Oslo, sulla metro, mind the closing doors si dice: dolorose rose e quando un norvegese ti parla, sembra ti stia facendo la supercazzola, tarapia tapioco come fosse antani.

Non è un fotomontaggio!

A Oslo ci sono maestri delle elementari che dormono in macchina, si ubriacano alle feste, poi ci provano inutilmente con ragazze a loro volta avvinazzate.
A Oslo in casa ci si tolgono sempre le scarpe, sempre, e questo te lo dicono solo dopo che ti sei riempito la valigia di calzini bucati.
A Oslo piove.

Un raro momento di euforia.

Saluti da Oslo.
Miotsu.

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3 risposte a Ho visto un Re – Apertura norvegese.

  1. Cristian ha detto:

    Non ti ho mai visto cosi’ euforico… 🙂
    Credo che dovresti pensare a trasferirti definitivamente a Oslo!!
    Il mal di vivere potrebbe finalmente trovare un senso.
    Take care Miotsu San

  2. lucilla ha detto:

    cioè, mi sa che mi è andata meglio, sono finita a Quadrelle, ubriaca nel mezzo di un’Irpinia paranoica

  3. Matteo ha detto:

    Ste Chere, Miotzu Can!

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